Edward Lear, Civita Castellana, 1844 |
Come tanti altri borghi della Tuscia, anche questo si estende su un alto sperone tufaceo naturalmente difeso da profonde forre scavate da due affluenti del fiume Treja: attraversando l’alto ponte settecentesco che dà accesso alla città – detto “Clementino” perché voluto da Papa Clemente XI – non si può non rimanere affascinati dalla natura verdeggiante che riempie queste gole di roccia rossa, da un paesaggio ancora foriero di quel romantico senso del “sublime” che dovette travolgere anche i viaggiatori del Grand Tour settecentesco come Goethe:
« La città è costruita su tufo vulcanico, nel quale m’è parso di ravvisare cenere, pomice e frammenti di lava. Bellissima la vista del castello: il Monte Soratte, una massa calcarea che probabilmente fa parte della catena appenninica, si erge solitario e pittoresco. Le zone vulcaniche sono molto più basse degli Appennini, e solo i corsi d’acqua, scorrendo impetuosi, le hanno incise creando rilievi e dirupi in forme stupendamente plastiche, roccioni a precipizio e un paesaggio tutto discontinuità e fratture. » (Johann Wolfgang von Goethe, Italienische Reise)
Dirigendoci verso il centro del paese, ci fermiamo subito nell’accogliente Piazza Matteotti, il salotto della città, abbellita da una graziosa fontana seicentesca con grifi. Qui si affacciano anche il palazzo comunale e la chiesa di San Pietro.
Sotto il presbiterio si apre la cripta di XII secolo (anche se alcuni studi la datano all’VIII), ma completamente rimaneggiata in epoche successive, a nove navate su colonne in parte antiche.
Muovendo dal Duomo concludiamo il nostro tour al Forte Sangallo, commissionato nel 1499 da Papa Alessandro VI Borgia ad Antonio da Sangallo il Vecchio e terminato, sotto Giulio II, dal nipote dell’architetto, Antonio da Sangallo il Giovane. L’edificio sorge su precedenti fortificazioni e svolse la doppia funzione di struttura difensiva e di palazzo residenziale; presenta pianta pentagonale con corte centrale e un mastio ottagonale realizzato da Antonio da Sangallo il Giovane su progetto del nonno.
Anche nei secoli successivi il Forte rimase residenza papale, ospitando Pio IV e Paolo III, il quale fece decorare alcune stanze dai fratelli Zuccari (gli stessi, che tra l’altro, lavorarono anche al Palazzo Farnese di Caprarola), Clemente VIII nel 1598, Pio V nel 1782 e Pio VII nel 1800.
Dagli inizi del XIX secolo fu utilizzato come carcere per diversi decenni, dopodiché iniziò un lungo periodo di abbandono e decadenza che terminò alla fine degli anni Sessanta del Novecento con il restauro della struttura e con l’allestimento del Museo Archeologico dell’Agro Falisco, inaugurato nel 1977, che ripercorre la storia dei Falisci dalle origini alla caduta per mano dei Romani. Qui vi sono esposti i reperti provenienti dai più importanti siti archeologici del territorio facenti capo a Falerii Veteres e a Narce(odierna Calcata): rinvenimenti dai numerosi santuari e dai contesti sepolcrali, come le particolari ceramiche di produzione locale e quelle d’importazione greca, un vasto repertorio di altri oggetti pertinenti i corredi funerari. Degna di nota è la Tomba dei Sarcofagi di Quercia.
Uscendo da Forte Sangallo terminiamo la nostra passeggiata con uno sguardo al bellissimo paesaggio che ci circonda, dominato dall’incantevole profilo del Monte Soratte, che si erge solitario in mezzo alla pianura e che ha ispirato numerosi poeti nel corso dei secoli, come Orazio, Virgilio, Dante, Byron, Goethe e Carducci… una “montagna sacra” che ancora oggi ci cattura con la sua aura magica.